di Giorgio infranca e Pietro Semeraro
Il raddoppio del contributo unificato in Cassazione, applicabile quando l’impugnazione è interamente respinta oppure è dichiarata inammissibile o improcedibile – sebbene rappresenti una sanzione processuale lato sensu intesa – non può trovare applicazione nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, in quanto “le Amministrazioni dello Stato […] sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo”, atteso che, se così non fosse, lo Stato verrebbe a essere contemporaneamente debitore e creditore di sé stesso.
È questo il principio – comunque non nuovo – che emerge dalla lettura della sentenza della Corte di Cassazione n. 29680 del 30 dicembre 2020.
L’art. 13, comma 1-quater del DPR 115/2002 (T.U. delle spese di giustizia) stabilisce che “Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respintaintegralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.
Il raddoppio del contributo unificato, essendo contenuto nel comma 1-quater dell’art. 13 e non nel successivo comma 6-quater (dedicato al giudizio tributario) è considerato applicabile esclusivamente al giudizio civile e, pertanto, con riguardo al giudizio tributario, al solo giudizio di legittimità dinanzi la Corte di Cassazione…
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