di Giorgio Infranca e Pietro Semeraro
La sottoscrizione del ricorso tributario con firma digitale irregolare costituisce una mera irregolarità e non inficia l’ammissibilità del ricorso; intanto perché le cause di inammissibilità devono essere interpretate restrittivamente, e poi perché l’art. 16-bis del DLgs. 546/1992 (in materia di comunicazioni e notificazioni telematiche) non contiene esplicite sanzioni in caso di violazione.
Sono questi i principi desumibili dalla lettura della sentenza C.T. Prov. Reggio Emilia n. 164/02/20 del 29 luglio scorso.
Il caso oggetto della decisione prende le mosse dalla notifica a mezzo PEC di un ricorso tributario in relazione al quale l’Agenzia delle Entrate, con le proprie controdeduzioni, ha eccepito l’inammissibilità dello stesso per irregolarità della firma digitale. In particolare, secondo l’ufficio, a seguito di una verifica sul sistema SIGIT, sarebbe emerso che il certificato di validità della firma sarebbe sconosciuto, tale da non poter assicurare con certezza l’identità “digitale” del soggetto firmatario. L’Agenzia, inoltre, lamenta che la sottoscrizione del ricorso non sarebbe correttamente avvenuta, posto che sarebbe stata apposta non già su un file nativo digitale, bensì su un file analogico (sottoscritto manualmente) e poi scannerizzato. La doglianza dell’ufficio, tuttavia, non ha trovato accoglimento.
I giudici, infatti, anzitutto constatano come – sulla base delle loro verifiche operate presso il SIGIT – non fossero rilevabili particolari criticità relative alla firma digitale (sul portale era reperibile la ricevuta di accettazione della notifica PEC, unitamente a tutti i documenti allegati); inoltre, indipendentemente dagli aspetti tecnici legati alla validità ed effettività della notifica a mezzo PEC, la Commissione rileva che, in ogni caso, anche un’eventuale irregolarità della firma digitale non avrebbe potuto condurre ad una dichiarazione di inammissibilità del ricorso…
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